

Un altro tòpos fondante della testata, praticamente il tassello cardine dell’intero impianto poetico di DYLAN DOG, è il modo in cui sono visti i cosiddetti MOSTRI. Quello ideato da Sclavi e curato da Recchioni è un fumetto horror basato sull’ambiguità e sulla conseguente impossibilità di stabilire un canone preciso che indichi dove stanno i buoni e dove i cattivi. L’”essere mostro”, in Dylan Dog, non è altro che una maschera che i personaggi si passano di continuo: a volte la indossano le creature soprannaturali (graficamente mostruose ma spesso portatrici di un sentire positivo), a volte le persone con le loro miserie, nemmeno lo stesso Dylan è salvo dalla possibilità di essere “mostruoso”. Tutti possono essere mostri, e quindi fondamentalmente nessuno lo è in modo riconoscibile. Lombrosianamente, per così dire.
Non c’è bussola, non c’è certezza in DYLAN DOG, ma solo un’umanità fragile, poetica e fondamentalmente pessimista in cui amore e aberrazione si confondono, compenetrano e disambiguano senza soluzione di continuità.
Per mettere in luce questo aspetto, plasticamente e graficamente, abbiamo optato per dividere in due mostre differenti l’esposizione sui mostri, dedicandone una ai “mostri cattivi” e una ai “mostri buoni”. Una sorta di divertissement espositivo che, tramite una divisione arbitraria in due aree morali dei personaggi coinvolti, darà idea al pubblico, per contrasto, di quanto l’ambiguità imperi sull’universo narrativo dell’indagatore. “I mostri siamo noi”, diceva Sclavi. “A volte però i mostri sono i mostri”, dice Recchioni. Un dilemma eterno su cui la serie mai dovrà aver certezza alcuna.
IO, IL MOSTRO presenterà una nutrita rassegna di tavole dedicate ai villain con cui Dylan ha dovuto scontrarsi nel corso della sua vita editoriale. Passata e futura.
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